Ho conosciuto Olivier Costa de Beauregard a Parigi, nel 1990. Aveva già una considerevole età, ma godeva di quella spettacolare lucidità che solo una mente sempre allenata riesce a mantenere. Si vedeva che era un tipo longevo. Infatti è morto il 5 febbraio 2007, a novantacinque anni.
All’epoca di quel nostro primo incontro, Parigi stava attraversando una splendida primavera: molto sole e temperature miti. In verità, lo confesso, ero partito con l’intenzione di portare i miei figli a Disneyland ma, anche se doveva essere una semplice vacanza, non sono riuscito a vincere la tentazione di chiamarlo, per un appuntamento. Volevo a tutti i costi pubblicare due dei suoi libri.
Me ne aveva parlato il mio amico Giuseppe Arcidiacono. Anzi, aveva fatto qualcosa in più che parlarmene: si era presentato nel mio ufficio con in mano la copia di un suo libro già pubblicato in italiano, sebbene poco venduto, e un altro testo in francese.
Rammento che già a una prima lettura non potei fare a meno di sorprendermi: Olivier Costa de Beauregard trattava argomenti simili a quelli di Luigi Fantappié, come la sintropia.
Appena letta l’ultima pagina di quei due preziosi libri, pubblicare Costa de Beauregard divenne una vera urgenza per me. E forse, segretamente, la gita a Disneyland era solo un diversivo.
Quando lo chiamai si dimostrò molto cortese, ma – sebbene mi fossi offerto io di andare da lui: amo molto intrufolarmi nelle atmosfere “casalinghe” dei miei autori – disse che venirmi a trovare in albergo sarebbe stata, per lui, una buona occasione per tornare in città. Difatti, viveva appena fuori Parigi.
Fu puntuale, come solo gli scienziati sanno essere, ancor più degli svizzeri, e mi raccontò a lungo delle sue scoperte e del suo pensiero, ormai da anni indirizzato verso l’epistemologia, dopo tante fatiche spese sulla teoria della relatività e sulla fisica dei quanti. Io, con un certo imbarazzo, mi scusai del mio francese non proprio perfetto e lui, con chiara intenzione di mettermi a mio agio, rispose che il suo italiano era senz’altro peggiore!
La qual cosa, mi confidò, lo rattristava un po’, perché nella sua famiglia c’era stato un antenato italiano, proveniente da Genova… ma davvero non aveva trovato il tempo per studiare anche l’italiano.
Tanto e talmente piacevoli erano state quelle ore di conversazione che mi offrii di accompagnarlo alla metropolitana, per prolungare ancora un po’ l’incontro. Confesso che, stante la considerevole differenza di età tra noi due, io faticavo a stargli dietro.
È stato per strada, quasi di sfuggita, che gli chiesi se conosceva Fantappié e lui rispose che Fantappié era per lui “un amico”, ma a distanza.
Non lo aveva infatti mai conosciuto personalmente, ma ne aveva condivise alcune intuizioni. Molto spesso le acquisizioni culturali, gli sviluppi scientifici, almeno negli ambienti contrassegnati da una stessa struttura di pensiero, procedono di pari passo, anche senza che tra le persone ci debba necessariamente essere un rapporto diretto, personale. Talune pressioni culturali “investono” le persone ed esse reagiscono, a volte, nello stesso modo.
Questo era ciò che aveva unito lui e Fantappié, escludendo tuttavia qualsiasi acquisizione indebita dell’uno o dell’altro. Mi confidò che aveva scritto ad Arcidiacono, proprio per approfondire meglio quanto vicine fossero le loro reciproche posizioni.
Al mio ritorno in Italia, prima durante e dopo la pubblicazione dei suoi scritti, abbiamo comunque conservato una fitta corrispondenza. Io più che altro prendevo a motivo delle mie comunicazioni le informazioni strettamente editoriali – come andavano le vendite e i riscontri della critica – ma poi si finiva sempre a parlare anche d’altro.
Ricordo che si meravigliò molto quando gli inviai il primo assegno delle royalties sulle copie vendute. Disse che non avrebbe mai pensato che il semplice atto del pensare potesse essere pagato!
Sebbene gli ultimi anni della sua vita siano stati dedicati a considerazioni non “strettamente” scientifiche – anzi, proprio il contrario, a essere sinceri – non credo che ciò possa adombrare l’opera di un uomo che ha avuto l’agilità e il coraggio di spaziare da un ambito all’altro della scienza, avventurandosi anche al di fuori di essa.
Quando lo accusavano di essere troppo poco “scientifico”, rispondeva citando Einstein: La religion sans la science est boiteuse, mais la science sans la religion est borgne. Me lo disse anche quella prima volta, a Parigi.