Ho “conosciuto” Giuliano Toraldo di Francia quando ero ancora uno studente universitario. È stata, in verità, una conoscenza indiretta: un amico, più avanti di me negli studi e dunque più esperto di me, mi aveva suggerito il manuale di fisica di Toraldo di Francia come testo base e di approfondimento, da affiancare a quelli indicati in programma.
Mai consiglio fu più azzeccato. Tanti anni dopo, con qualche capello grigio in più, quando andai al primo appuntamento con Toraldo di Francia, per intervistarlo, mi sentivo ancora come lo studente che ero stato: pieno di meraviglia, dinanzi al grande maestro.
Oltretutto, quello che mi accingevo a fare, era uno dei primi libri della collana “I Dialoghi”, ma avevo la benedizione di Margherita Hack che, essendo molto amica di Toraldo, mi valse come lasciapassare. Ricordo, al nostro primo incontro, una grande stanza inondata di luce, al secondo piano della Facoltà di Fisica di Firenze.
Lui era già professore emerito e si limitava a seguire qualche tesi di laurea e si dedicava soltanto alle ricerche che più gli interessavano. Scriveva libri e partecipava a convegni. Insomma, si divertiva un mondo a fare il pensionato, come lui stesso mi disse illuminandosi di un sorriso quasi infantile.
Alla prima intervista, parlammo per quasi un’ora di scienza e psicoanalisi. È sempre stato uno dei miei pallini, il rapporto tra scienza ed ermeneutica, e mi fece piacere constatare che anche nel grande fisico c’era un interesse condiviso. Alla fine del colloquio mi accompagnò all’uscita e mentre scendevamo lungo l’ampia scalinata della facoltà mi chiese, con fare paterno, che mestiere facessi per vivere: “Non guadagnerà mica con l’editoria?” mi chiese quasi incredulo.
Lo rassicurai dicendogli che fare l’editore era un “hobby” che potevo permettermi, grazie alle mie attività nell’ambito farmaceutico. La cosa sembrò rassicurarlo: “Sa – mi disse – sono in molti a tentare la strada dell’editoria, ma quasi nessuno poi resiste abbastanza a lungo da diventare un vero editore”.
Mi salutò e saltò su una vecchia motocicletta, con la quale si allontanò speditamente. Qualche mese dopo, ebbi modo di intervistare il genetista Edoardo Boncinelli e scoprii che ai tempi del liceo era un assiduo frequentatore di casa Toraldo, essendo amico del figlio.
Mi raccontò delle ore e ore trascorse a parlare di fisica e di problemi che per il giovane Boncinelli erano ancora grandi enigmi. Spinto da Boncinelli, tornai alla carica con Toraldo, per chiedergli una seconda intervista, che grazie alla presentazione dell’amico genetista, mi concesse con grande gioia.
Al nostro secondo incontro non tenni il conto delle ore che passavano. Trascorremmo un intero pomeriggio a parlare della sua vita, di fisica, epistemologia e metodo scientifico e tantissime altre cose di cui conservo il ricordo come di autentiche rivelazioni. Ho di lui l’immagine di un uomo positivo, pieno di entusiasmo, che credeva nella vita e capace di opporsi alle disavventure.