Benoit Mandelbrot, potenza immaginativa rarissima

Benoit Mandelbrot

L’idea di coinvolgere Mandelbrot tra gli autori della collana “I Dialoghi” me la diede il mio amico, nonché scienziato, Giuseppe Arcidiacono: “Non puoi non intervistarlo. Il suo pensiero ha una potenza immaginativa rarissima”.

Arcidiacono, da matematico, era un convinto assertore dell’immaginazione quale elemento fondante di qualsiasi disciplina scientifica, ma della matematica in particolare.

Essendo la mia stima nel giudizio di Arcidiacono assolutamente ferrea, presi il telefono e mi misi in contatto con Benoit Mandelbrot, l’inventore di quella strana “cosa”, conosciuta da tutti almeno nel nome, ma da pochi nella sostanza, ovvero i frattali.

Capita, a volte, che una parola di natura tecnica, scientifica, diventi una sorta di moda: la gente parla di frattali e di relatività o del DNA con la stessa familiarità con cui parlerebbe del proprio frullatore, ma quanti sono poi quelli che saprebbero veramente spiegare cos’è un frattale o quali sono le basi spazio-tempo della relatività?

L’incontro con Mandelbrot

Comunque, tornando all’incontro con Mandelbrot, fortuna volle che quando feci per contattarlo mi disse che sarebbe venuto a breve a Roma. Lo incontrai proprio in un albergo all’interno del Vaticano e gestiti da suore. Ci fermammo a parlare nell’atrio: arioso, accogliente, silenzioso, ma forse troppo silenzioso.

Avevo quasi la sensazione che le suore ci ascoltassero, con un pizzico di incredulità e anche curiosità circa quanto andavamo dicendo. Arrivando l’avevo trovato già seduto che mi aspettava, ma quando si alzò per stringermi la mano, mi trovai davanti la possente figura di un uomo alto un metro e novanta che, seppure non americano di nascita, ne aveva tutti i connotati.

Mi disse che tra i suoi tanti viaggi, Roma era la città che gli era capitato di visitare più spesso:

Non so perché ma agli italiani, e ai romani in particolare, piace molto sentirmi parlare di frattali. Così mi invitano continuamente a seminari e conferenze”.

L’ultima cosa che volevo, in quel momento, era passare per uno dei tanti “fans” dei frattali e glielo dissi chiaramente: a me interessava sapere qual era stato il suo percorso e scoprire – ma questo omisi di dirlo – se davvero era dotato di quella spiccata capacità immaginativa di cui mi aveva parlato Arcidiacono.

Dovetti constatare che era proprio così: era un vero eclettico, un creativo del pensiero logico, e ci teneva particolarmente a metterlo in evidenza. Mi disse che doveva la sua fortuna a un’infanzia da “deprivato”, perché avendo frequentato poco le scuole dell’obbligo ed essendo vissuto per molto tempo isolato dai suoi coetanei, aveva sviluppato questa capacità di immaginare le figure.

Ovvio, che quella che mi mostrava era una ricostruzione a posteriori, meditata e ponderata, circa il senso della propria vita, ma Benoit Mandelbrot aveva fatto qualcosa di più: aveva trasformato i frattali nell’immagine logica di quella sua ricerca di senso. “I percorsi frastagliati di ciascuno di noi, proprio come i frattali, riproducono un ordine e acquisiscono razionalmente un significato logico, anche se tale ricostruzione è possibile solo a posteriori”.

Un’intervista difficile

Capii subito che mi trovavo dinanzi a un uomo che provava grande soddisfazione nel parlare di sé, ed io non feci assolutamente nulla per trattenerlo o per ricondurlo a un argomento piuttosto che a un altro; sapevo che quel suo amore per l’ordine, alla fine, avrebbe dato un senso ben definito al mosaico che andava costruendo nella sua mente, mentre mi parlava.

Però non posso negare che è stata una delle interviste più difficili della mia carriera: mi sentivo spiazzato, tanto da non avere più il controllo delle domande.

Se lo lasciavo discorrere liberamente non c’era alcun problema, ma a domanda rispondeva in maniera fin troppo sintetica. Tornato in ufficio, ed esaminato il materiale, mi resi subito conto che avrei dovuto incontrarlo ancora, perché c’erano molti nodi da chiarire.

La seconda volta ci trovammo all’Università “La Sapienza” di Roma e anche in quella occasione dovetti faticare non poco per farmi dire ciò che volevo. Sentivo che viveva ogni mia domanda come una limitazione della sua libertà di pensiero, per questo alla fine decisi di passare ad altri argomenti.

Gli chiesi delle sue visite a Roma, di come gli sembrava la città… Allora gli si illuminò lo sguardo e cominciò a raccontarmi, con l’autentico stupore di un bambino, di tutti i capolavori dell’arte che aveva visto. Si capiva che era un esperto frequentatore di musei, e non solo italiani. Anche stavolta tornai in ufficio con la sensazione di non aver ottenuto le risposte che cercavo. Tuttavia, il libro è stato pubblicato e Mandelbrot se ne è dimostrato entusiasta.